Istanza di condono in corso: è possibile effettuare ulteriori modifiche?
Cosa prevede la legge per i lavori in pendenza di sanatoria e quali vincoli gravano sui comproprietari: nuovi chiarimenti dal Consiglio di Stato
La sentenza del Consiglio di Stato n. 8701/2025 si concentra sulla possibilità per un singolo comproprietario di un immobile di richiedere il condono edilizio su una struttura indivisa, situata in area vincolata paesisticamente. Il caso affronta questioni complesse di legittimazione, temporizzazione delle domande di sanatoria e limiti alla modifica di edifici oggetto di condono, offrendo un’importante interpretazione della legge n. 47/1985 e delle norme correlate.
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Il caso
L’appellante era comproprietario di un immobile ad uso alberghiero situato in area paesisticamente protetta, avendo acquisito una quota della struttura a seguito di decreto di trasferimento giudiziario.
Sull’immobile gravava una precedente domanda di condono edilizio presentata da un altro proprietario negli anni ’80 per opere eseguite senza licenza edilizia o in difformità della stessa, sia anteriori al 1967 sia entro il 1983.
Successivamente all’acquisizione della quota di comproprietà, l’appellante presentava una nuova domanda di condono estesa all’intera struttura, inclusa la parte del primo livello esclusa dalla precedente istanza.
L’amministrazione comunale, inizialmente, aveva ordinato la demolizione di opere abusive e respinto la domanda originaria. In seguito, aveva avviato un procedimento di autotutela, ma poi lo aveva archiviato confermando il diniego.
L’appellante impugnava i provvedimenti davanti al TAR, il quale respingeva il ricorso. Durante il giudizio, l’amministrazione adottava provvedimenti contrastanti di revoca e annullamento delle revoche.
Secondo l’appellante, l’amministrazione avrebbe errato nel confermare il diniego, non considerando le novità della domanda estesa all’intero immobile. Inoltre:
la presunta occupazione di area demaniale era inesistente, come confermato in sede penale;
il fabbricato non aveva subito modifiche sostanziali rispetto allo stato originario e quindi non vi era motivo di precludere il condono;
gli interventi realizzati erano di modesta entità e non avrebbero pregiudicato la sanatoria.
Secondo l’amministrazione, la domanda di condono era improcedibile perché l’appellante non aveva la piena proprietà dell’immobile e mancava il consenso degli altri comproprietari, requisito indispensabile per richiedere la sanatoria. Inoltre, la domanda originaria restava comunque il riferimento giuridico valido su cui si fondava il precedente diniego.
Il provvedimento di rigetto, inoltre, si basava su una pluralità di motivi: erano stati riscontrati cambiamenti dello stato dei luoghi, esistevano vincoli paesaggistici ostativi, risultava l’occupazione di porzioni di suolo pubblico e vi erano incompatibilità con pareri già espressi dalla Soprintendenza.
A ciò si aggiunge che, dopo la presentazione della domanda, erano stati eseguiti interventi che avevano alterato consistenza e volumi dell’edificio, circostanza che, secondo l’amministrazione, rendeva impossibile procedere alla sanatoria.
Un singolo comproprietario può richiedere la sanatoria edilizia senza consenso degli altri in caso di bene indiviso?
L’appellante contesta il provvedimento sostenendo errori di procedura, errori di giudizio, errori di fatto e violazioni di legge (artt. 31 e 40 L. 47/1985).
Secondo l’appellante, il Comune, dopo aver avviato un procedimento di autotutela alla luce della nuova domanda di condono edilizio presentata dal soggetto, avrebbe confermato in modo acritico il precedente diniego, senza considerare che la nuova domanda era diversa dalla precedente: estendeva il condono all’intero immobile secondo la consistenza individuata nel decreto di trasferimento, superando l’ostacolo che aveva motivato il primo diniego (mancata sanatoria del primo livello dell’edificio). Pertanto, secondo l’appellante, il Comune non avrebbe potuto confermare le originarie ragioni di diniego senza incorrere in un vizio di motivazione e in un deficit istruttorio.
La censura non è fondata.
Il rigetto della domanda è stato motivato dal fatto che la nuova richiesta di sanatoria era riconducibile alla domanda originaria del 1986, senza alcun effetto novativo. Pertanto, il provvedimento di diniego originale resta valido anche per la nuova domanda. Successivamente, il Responsabile del Servizio Urbanistica ha specificato che la domanda del 2008 era improcedibile ai sensi dell’art. 40, comma 6, L. 47/1985.
È incontestato che all’epoca della domanda l’appellante possedeva solo una quota dell’immobile (non la piena proprietà né la maggioranza), quindi non poteva validamente presentare la domanda da solo.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato stabilisce che la richiesta di condono può essere fatta solo dal proprietario o da chi dispone del consenso espresso degli altri comproprietari, affinché non si determini un’appropriazione indebita di parti comuni. In assenza di tale consenso, l’amministrazione non può sanare l’immobile su richiesta di un singolo comproprietario.
Di conseguenza, il soggetto legittimato alla richiesta è chi ha la piena disponibilità dell’immobile; la proprietà parziale non è sufficiente, perché il comportamento del singolo potrebbe ledere i diritti degli altri comproprietari. In caso di comproprietà, la domanda deve provenire congiuntamente da tutti i proprietari, salvo che vi sia prova di un accordo tra di loro.
Inoltre, non vi è prova dell’anteriorità del credito alla base della procedura esecutiva che ha portato al trasferimento dell’immobile. La legge richiede che, per gli immobili provenienti da procedure esecutive, la domanda di sanatoria sia presentata entro 120 giorni dall’atto di trasferimento, purché le ragioni del credito siano anteriori all’entrata in vigore della legge. Nel caso in esame, la documentazione prodotta non prova tale condizione.
Le censure relative a presunte violazioni procedimentali, difetti di motivazione o mancata considerazione di nuove argomentazioni sono infondate: anche con un apporto collaborativo dell’appellante, il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso, poiché ogni motivo del diniego era autonomamente idoneo a sostenerne la legittimità.
Il provvedimento originario di diniego è stato motivato con più ragioni autonome e logicamente indipendenti:
la domanda originaria riguardava solo due piani, mentre l’edificio ne aveva quattro;
lo stato dei luoghi era stato modificato nel tempo;
l’immobile non era sanabile sotto il profilo paesaggistico, come già espresso dalla Soprintendenza;
una parte dell’edificio occupava suolo pubblico;
i pareri favorevoli prodotti dall’appellante erano riferiti a particelle catastali diverse.
Si tratta quindi di un provvedimento plurimotivato, valido anche in presenza di contestazioni dell’appellante, che non dimostra come il suo contributo possa superare tutti i motivi del diniego.
Quali interventi edilizi sono consentiti durante il procedimento di condono?
Con il secondo motivo di appello, l’appellante lamenta presunti errori di procedura, di giudizio, di fatto e violazioni di legge (artt. 31 e 40 L. 47/1985), sostenendo che la presunta occupazione di suolo pubblico comunale da parte del fabbricato non sussiste, come confermato dalle perizie tecniche e dall’assoluzione piena del giudice penale, che ha dichiarato inesistente il reato.
Tuttavia, la contestazione non è fondata. Il Comune, con provvedimento del 2015, non ha escluso l’eventuale interferenza con il relitto stradale comunale e, sebbene alcune relazioni preliminari indicassero che il fabbricato non occupasse suolo pubblico, ulteriori planimetrie dimostrano che parte del fabbricato e l’area di parcheggio occupano effettivamente il relitto comunale. La richiesta di acquisto o permuta dell’area da parte dell’appellante fu quindi respinta, decisione confermata dal TAR. L’assoluzione penale non incide sulla legittimità del diniego del condono, che resta fondato su motivazioni autonome.
Con il terzo motivo, l’appellante contesta una presunta modifica del primo livello dell’edificio, precludendo il condono. Tuttavia, l’assetto planovolumetrico attuale è conforme al decreto di trasferimento e non vi sono prove di interventi sostanziali successivi.
Con il quarto motivo, l’appellante sostiene l’illegittimità del diniego della D.I.A. del 2010, relativa a interventi minori di adeguamento o sostituzione di elementi deteriorati. Anche questo motivo è infondato, perché la domanda di sanatoria era inammissibile.
In generale, qualsiasi intervento edilizio eseguito in pendenza di una domanda di condono che modifichi i volumi, i prospetti o l’assetto originario dell’immobile preclude la sanatoria. Gli unici interventi consentiti sono quelli di conservazione. Non è permesso completare, trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta, in quanto il condono straordinario si basa sul riconoscimento dello stato preesistente e non autorizza opere aggiuntive.
Nel caso in esame, nel 2009 furono eseguiti lavori che aumentarono le superfici e i volumi e modificarono i prospetti, non rientrando negli interventi manutentivi consentiti. Parte di questi lavori configurava nuove costruzioni o ristrutturazioni soggette a permesso di costruire, quindi non sanabili con la D.I.A. presentata.
Pertanto, il Consiglio di Stato respinge l’appello, assorbendo i motivi di primo grado, e dispone la compensazione delle spese processuali tra le parti.
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