Inerti da scavo gallerie: rifiuto o sottoprodotto?
Il Consiglio di Stato chiarisce quando gli inerti da scavo gallerie sono rifiuti, sottoprodotti o materie prime. Implicazioni per la sanatoria
Il Consiglio di Stato fa chiarezza sulla sottile linea che separa rifiuto, sottoprodotto e materia prima, in una sentenza: la n. 865/2025, che mette in guardia le imprese: un errore di classificazione può costare caro, tra sanatorie negate e obblighi di ripristino.
Una società presentava appello per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale (T.A.R.), che aveva respinto il suo ricorso contro il provvedimento del Comune che negava il permesso di costruire in sanatoria per un deposito temporaneo di inerti e ordinava il ripristino dello stato dei luoghi.
La società appellante, attiva nel settore dell’estrazione e trattamento di materiale roccioso, aveva ottenuto, con permesso di costruire e autorizzazione ambientale, il permesso di depositare inerti per 18 mesi, poi prorogati, su un’area privata nel Comune stesso.
Nel deposito erano stati collocati materiali provenienti sia dall’attività di escavazione dell’alveo di corsi d’acqua (autorizzata dalla Regione), sia materiale di risulta derivante dall’escavazione di una galleria.
A seguito di un sopralluogo, era stato accertato che il materiale era stato mantenuto oltre i termini previsti dai titoli abilitativi. Di conseguenza, la società aveva presentato un’istanza di rilascio del permesso di costruire in sanatoria e di autorizzazione al ripristino dei luoghi mediante asportazione del materiale.
Il Comune, con provvedimento apposito, preceduto dalla comunicazione dei motivi ostativi, aveva respinto l’istanza, adducendo le seguenti motivazioni:
il materiale presente doveva essere qualificato come rifiuto ai sensi del d.lgs 152/2006 e non rientrava nella disciplina del d.P.R. 380/2001, rendendo impossibile l’applicazione dell’accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del citato d.P.R;
la domanda di accertamento di conformità doveva essere preceduta dalla richiesta di accertamento della compatibilità paesaggistica;
gli elaborati grafici allegati all’istanza di sanatoria riportavano uno stato di fatto del deposito errato e fuorviante, indicando dimensioni ridotte e un’occupazione parziale del terreno, mentre in realtà il deposito era esteso a tutto il mappale e occupava anche i terreni limitrofi.
La società aveva impugnato il provvedimento con ricorso al T.A.R. che aveva ordinato al Comune di riesaminare l’istanza.
A seguito del riesame, il Comune, con un nuovo provvedimento aveva nuovamente rigettato l’istanza.
Questo secondo provvedimento era stato impugnato dalla ricorrente con motivi aggiunti.
Il T.A.R. aveva dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo avverso l’originario diniego, in quanto sostituito dal successivo provvedimento di riesame, e aveva respinto i motivi aggiunti.
Si giungeva quindi in ricorso d’appello presso il CdS contro la sentenza del T.A.R. adducendo i seguenti motivi:
il materiale inerte depositato non era un rifiuto, ma materia prima riutilizzabile nel ciclo produttivo della società;
gli elaborati progettuali potevano essere rettificati, previa definizione della questione relativa alla qualificazione degli inerti;
la domanda di sanatoria non era condizionata alla realizzazione di nuove opere;
la richiesta di sanatoria edilizia comprendeva anche quella di compatibilità paesaggistica.
CdS: il materiale di scavo di una galleria è sottoprodotto e per essere riutilizzato deve attenersi ad un progetto sottoscritto da un tecnico
Il Consiglio di Stato ha ritenuto infondati tutti i motivi di appello, argomentando che:
il materiale proveniente dall’escavazione della galleria doveva essere qualificato come sottoprodotto (per essere utilizzato per reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati) e non come materia prima, e pertanto necessitava di un progetto per il suo riutilizzo ai sensi dell’art. 186 (d.lgs 152/2006) ratione temporis vigente.
Più in dettaglio l’art. 185, co. 4, d.lgs 152/2006 prevede un ordine di valutazione del materiale da scavo. La norma prevede una precisa sequenza per determinare il regime giuridico del suolo escavato e di altri materiali naturali utilizzati in siti diversi da quelli di origine: rifiuto, sottoprodotto, o materiale che ha cessato di essere rifiuto (materia prima).
Fase 1: verifica della qualifica come rifiuto (art. 183, co. 1, lett. a)
In via preliminare occorre valutare se si tratti di materiale “di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”.
Fase 2: verifica della qualifica come sottoprodotto (art. 184 bis)
Se non è un rifiuto, si verifica se possiede le seguenti caratteristiche:
origine da un processo di produzione, di cui è parte integrante, senza che lo scopo primario sia la sua produzione;
certezza di utilizzo, nello stesso o in un successivo processo, da parte del produttore o di terzi;
utilizzo diretto, senza ulteriori trattamenti diversi dalla normale pratica industriale;
legalità dell’ulteriore utilizzo.
Se soddisfa tali requisiti e destinato a reinterri, riempimenti, etc., è necessario un progetto, a norma dell’art. 186 (ora artt. 9 e 21 d.P.R. 120/2017).
Fase 3: verifica della qualifica come materia prima (art. 184 ter)
Se il materiale non rientra nelle categorie di rifiuto o sottoprodotto, e sussistono i presupposti di cui all’art. 184 ter, può essere considerato materia prima e reimpiegato senza progetto di riutilizzo.
Caso specifico: materiale da scavo galleria
Nel caso in esame, il materiale proviene dallo scavo di una galleria ed è destinato all’utilizzo nel ciclo produttivo dell’appellante; per questo motivo, è da considerarsi sottoprodotto. La qualifica di materia prima è errata, in quanto ignora la sua origine come “scarto” di un processo produttivo altrui.
Distinzione tra materiale da scavo galleria e materiale da escavazione fluviale
Il materiale estratto dalla galleria si distingue da quello derivante dall’escavazione fluviale. Solo quest’ultimo è materia prima, perché estratto con lo scopo primario di essere utilizzato nel ciclo produttivo, in base a una specifica concessione regionale. Il materiale da scavo galleria, invece, deriva da un’attività (la costruzione della galleria) il cui scopo primario non è la produzione di materiale inerte.
il titolo edilizio e l’autorizzazione paesaggistica del 2009 avevano ad oggetto solo il materiale estratto dall’alveo fluviale e non anche quello derivante dalla galleria;
gli elaborati grafici allegati all’istanza di sanatoria riportavano uno stato di fatto errato e fuorviante, in quanto sottostimavano l’area effettivamente occupata dal deposito;
la qualificazione del materiale come rifiuto ne imponeva l’assoggettamento alla disciplina del d.lgs 152/2006 e precludeva il rilascio della sanatoria ex art. 36 d.P.R. 380/2001.
In conclusione, il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità del diniego di sanatoria opposto dal Comune.
Il ricorso non è, quindi, accolto.
Download GratuitoSentenza CdS 865/2025 – Riutilizzo inerti da scavo gallerie
Per maggiore approfondimento, leggi “Rifiuti edili: guida completa per la corretta gestione“
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