Linee guida sull’attuazione del Salva casa: focus in pillole con PDF, FAQ e infografiche

Linee guida sull’attuazione del Salva casa: focus in pillole con PDF, FAQ e infografiche

Cosa ci dicono le tanto attese linee guida interpretative appena pubblicate dal MIT?

Rinviando per maggiori dettagli alla lettura del testo integrale e degli approfondimenti che pubblicheremo su BibLus nei prossimi giorni, proponiamo qui una sintesi ragionata delle principali tematiche in forma di FAQ e con il supporto di agili infografiche.

Il testo integrale è qui disponibile in PDF.

I macro-temi affrontati sono:

stato legittimo dell’immobile:

verifica della legittimità dei titoli edilizi pregressi;
procedura per provare lo stato legittimo dell’immobile;
ruolo delle sanzioni e delle dichiarazioni di tolleranza nella dimostrazione dello stato legittimo;

cambio di destinazione d’uso:

spiegazione di concetti relativi al mutamento;
chiarimento del titolo edilizio necessario;
esenzioni e oneri urbanistici per il mutamento di destinazione d’uso;
rapporto tra legislazione statale e regionale;

tolleranze costruttive:

limiti di tolleranza per difformità edilizie pre e post 24 maggio 2024;
applicazione del regime delle tolleranze costruttive in aree sismiche e vincolate;
regime delle tolleranze in relazione alle misure minime relative ai requisiti igienico sanitari;
procedura per accertare l’epoca di realizzazione degli interventi;

semplificazione della regolarizzazione degli interventi edilizi ante ’77:

qualificazione delle varianti edilizie antecedenti alla legge 10/1977;
procedura per accertare l’epoca di realizzazione degli interventi ante ’77;
regime sanzionatorio per la regolarizzazione di varianti edilizie;
rapporto con il regime delle tolleranze;

procedimenti amministrativi:

presentazione di istanze di sanatoria e ulteriori istanze ad essa connesse;
sanatoria e autorizzazioni paesaggistiche;
regime sanzionatorio per la SCIA in sanatoria

recupero sottotetti:

ruolo delle regioni per la regolarizzazione degli interventi.

edilizia libera:

definizione di concetti pertinenti all’edilizia libera;

requisiti igienico sanitari:

disciplina del regime transitorio.

Di seguito si riportano le FAQ contenute all’interno delle “Linee di indirizzo e criteri interpretativi”.

Stato legittimo dell’immobile

verifica della legittimità dei titoli edilizi pregressi;
procedura per provare lo stato legittimo dell’immobile;
ruolo delle sanzioni e delle dichiarazioni di tolleranza nella dimostrazione dello stato legittimo;

Come è possibile concretamente provare il requisito della verifica della legittimità dei titoli pregressi per lo stato legittimo?

La verifica della legittimità dei titoli pregressi da parte dell’amministrazione competente può essere presunta qualora nella modulistica relativa all’ultimo titolo edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare siano stati indicati gli estremi dei titoli pregressi sulla base del presupposto che, in sede di rilascio di ciascun titolo, l’Amministrazione è chiamata a verificare puntualmente, in base alla documentazione tecnica fornita dal richiedente, eventuali situazioni di difformità che ostano al rilascio del medesimo.

Il riferimento alla verifica della “legittimità dei titoli pregressi” non può, quindi, comportare alcun riesame da parte dell’Amministrazione dei precedenti titoli, con la conseguenza che eventuali difformità tra lo stato di fatto e i progetti indicati nelle richieste di rilascio dei titoli o nelle segnalazioni certificate di inizio attività non potranno essere contestate quali mancanza di stato legittimo dell’immobile, ove non contestate in precedenza al fine di negare il titolo edilizio. Pertanto, la verifica richiesta dalla norma in esame deve intendersi come esclusivamente volta ad accertare che l’immobile o l’unità immobiliare siano stati interessati da titoli validi ed efficaci; situazione nella quale dovrà, quindi, affermarsi la sussistenza dello stato legittimo dell’immobile. Resta fermo, ovviamente, il potere dell’Amministrazione di accertare eventuali difformità realizzate dopo il rilascio o la formazione dei titoli pregressi, che, ove riscontrate, precluderanno di ritenere sussistente lo stato legittimo dell’immobile e consentiranno all’Amministrazione di procedere con i poteri previsti dall’ordinamento, ivi compreso il potere di negare il rilascio di nuovi titoli.

A titolo esemplificativo, se un’amministrazione è chiamata ad esprimersi sulla richiesta di rilascio di un titolo edilizio (T4) di modifica di un immobile x, interessato dopo il rilascio dell’originario T0 da tre successivi interventi di modifica, associati a corrispondenti titoli edilizi T1, T2 e T3, l’amministrazione potrà verificare se tra il titolo T3 e la documentazione progettuale presentata per il rilascio del titolo T4 siano intercorse situazioni di difformità che richiedono verifiche istruttorie integrative. Non potrà all’inverso sindacare situazioni di difformità astrattamente intercorse tra il rilascio del titolo T0 e T1 ovvero T1 e T2 o ancora T3 e T4, e che avrebbero consentito solo all’epoca di presentazione delle relative istanze di negare tali titoli.

In presenza di eventuali difformità non rilevate dall’Amministrazione in sede di rilascio dei titoli pregressi non potrà, quindi, contestarsi la mancanza di stato legittimo dell’immobile.

Nel merito, sulle condizioni per far valere il titolo edilizio più recente che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, si ritiene possibile assumere che l’amministrazione competente abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi in tali circostanze:

b1) laddove il titolo più recente sia stato rilasciato dall’amministrazione con formale provvedimento, che – anche mediante ricorso a clausole-tipo – attesti esplicitamente che il medesimo è stato adottato previa verifica della legittimità dei titoli pregressi;

b2) con riferimento ai titoli rilasciati con formale provvedimento ovvero formatisi implicitamente, per silenzio-assenso (come nel caso della SCIA, della SCIA alternativa al permesso di costruire), laddove sia stata fornita l’indicazione degli estremi del titolo originario e di quelli successivi relativi all’immobile o unità immobiliare, e, in considerazione della documentazione prodotta, non sia stata formulata alcuna contestazione dall’Amministrazione su eventuali difformità rispetto allo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare oggetto dell’intervento. Resta ovviamente implicita la possibilità per l’Amministrazione di attivare gli opportuni strumenti di tutela giuridica nei confronti di comportamenti elusivi delle norme edilizie fondate sulla presentazione di una documentazione incompleta o non corrispondente allo stato di fatto, ove sussistano i presupposti per l’annullamento in autotutela dei precedenti titoli.

Tanto premesso, la modulistica dovrà richiedere l’indicazione degli estremi dei titoli pregressi a supporto dell’istanza al fine di garantire un’applicazione generalizzata delle semplificazioni introdotte dall’articolo in commento. Resta fermo il potere dell’Amministrazione di richiedere eventuali integrazioni documentali che si rendessero necessarie nel caso specifico, nel rispetto delle precisazioni sopra indicate in ordine all’impossibilità di utilizzare la verifica dello stato legittimo per contestare difformità non rilevate in sede di rilascio dei titoli precedenti. Resta ferma, altresì, la possibilità per il richiedente, che si ritrovi nell’impossibilità di ricostruire l’iter documentale dei titoli pregressi per verificare la conformità ad una delle condizioni sub-b1) o sub-b2), di fare richiesta di accesso agli atti presso gli archivi dell’Amministrazione, secondo le regole vigenti.

Stato legittimo

Ai fini della dimostrazione dello stato legittimo come posso comprovare gli interventi regolarizzati mediante pagamento di una sanzione?

Mediante l’indicazione degli estremi o della ricevuta del pagamento della sanzione, come previsto dalla modulistica.

In che modo il pagamento di sanzioni (cd. fiscalizzazioni) e le dichiarazioni sulle tolleranze si rapportano allo stato legittimo?

Il pagamento delle sanzioni previste dagli articoli 33, 34, 37, commi 1, 3, 5 e 6 (cd. fiscalizzazioni) e le dichiarazioni sulle tolleranze di cui all’articolo 34-bis “concorrono” alla dimostrazione dello stato legittimo.

Ne deriva che a seguito delle modifiche introdotte dal D.L. Salva Casa le difformità oggetto di fiscalizzazione o rientranti nella disciplina sulle tolleranze potranno essere considerate pienamente sanate anche ai fini della dimostrazione dello stato legittimo attraverso la mera esibizione delle predette attestazioni (il pagamento della sanzione o la dichiarazione del tecnico asseveratore). Tale innovazione consente di superare le incertezze risultanti dalla precedente normativa, che portavano a “tollerare”, ma non a “sanare” le difformità interessate da fiscalizzazioni o dalla disciplina sulle tolleranze.

Tuttavia, le predette attestazioni (il pagamento delle sanzioni e le dichiarazioni sulle tolleranze), non costituendo “titoli abilitativi”, non potranno essere utilizzate per dimostrare, a monte, la legittimità dei titoli pregressi, secondo quanto previsto dal meccanismo di semplificazione formale di cui al primo periodo del comma 1-bis.

Ai fini della dimostrazione dello stato legittimo, tali atti potranno affiancare (in funzione integrativa) il titolo originario ovvero l’ultimo titolo, che sono i soli dal quale può essere avviata la dimostrazione dello stato legittimo.

Ne deriva che non tutti gli atti citati al comma 1-bis possono essere fatti valere automaticamente dal legittimo proprietario o dall’avente titolo coerentemente con l’obiettivo di semplificazione formale che consente di dimostrare lo stato legittimo anche solo con l’ultimo titolo che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare. In particolare, si osserva che gli obiettivi di semplificazione formale non possono automaticamente essere associati:

al pagamento delle sanzioni di cui articoli 33, 34, 37, commi 1, 3, 5 e 6, del Testo unico, che per loro natura non sono idonee ad attestare la verifica dei titoli pregressi da parte delle competenti amministrazioni. Fa eccezione il pagamento della sanzione prevista dall’articolo 38, comma 1, per il caso di intervento eseguito in base a permesso di costruire annullato, che produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria;
• alle dichiarazioni relative alle tolleranze presentate da un tecnico abilitato, in quanto esclusivamente funzionali alla rappresentazione di lievi scostamenti non costituenti violazione edilizia.

A titolo esemplificativo, si pensi al caso in cui un immobile sia stato interessato dai seguenti interventi:

(a) costruzione, previo rilascio del permesso di costruire;

(b) manutenzione straordinaria ‘pesante’ sull’intero immobile, previa SCIA;

(c) difformità rispetto alla SCIA sub-b), seguiti dal pagamento della sanzione prevista dall’articolo 37 del Testo unico.

Volendo avvalersi della semplificazione formale introdotta dal primo periodo dell’articolo 9-bis, comma 1-bis del D.L. Salva Casa, lo stato legittimo dell’immobile sarà quello stabilito dalla SCIA (lettera b).

Tuttavia, essendo stato eseguito un intervento difforme rispetto alla SCIA, lo stato di fatto non coinciderà con quello di diritto e, pertanto, occorrerà affiancare al predetto titolo anche la fiscalizzazione operata ai sensi dell’articolo 37. In questi termini deve essere interpretata la locuzione “concorre” di cui all’articolo 9-bis, comma 1-bis, terzo periodo, del Testo unico.

Cambio di destinazione d’uso

spiegazione di concetti relativi al mutamento;
chiarimento del titolo edilizio necessario;
esenzioni e oneri urbanistici per il mutamento di destinazione d’uso;
rapporto tra legislazione statale e regionale;

Cosa si intende per “specifiche condizioni” che possono fissare gli strumenti urbanistici comunali in relazione al mutamento di destinazione d’uso?

Le condizioni individuate dopo l’entrata in vigore del D.L. Salva Casa dai competenti enti territoriali con apposite determinazioni.

Posto che i poteri pianificatori degli enti locali in materia di destinazioni territoriali e dei singoli edifici possono estrinsecarsi nell’imposizione di condizioni, limitazioni o divieti, si chiarisce preliminarmente che le “condizioni” menzionate all’articolo 23-ter, commi 1-bis, 1-ter e 1-quater, dovranno risolversi in criteri oggettivi e non discriminatori, tali, quindi, da non imporre arbitrarie limitazioni o restrizioni. Tali condizioni, peraltro, potranno riferirsi ai soli aspetti concernenti il mutamento di destinazione d’uso e non anche alle modalità di realizzazione degli interventi nelle ipotesi di esecuzione di opere edilizie contestuale al mutamento stesso.

In secondo luogo, le condizioni dovranno essere specifiche, e, quindi, non potranno essere implicitamente desunte dagli strumenti urbanistici comunali vigenti, in considerazione del fatto che quanto disposto dal novellato articolo 23-ter del Testo unico prevale sulle previsioni restrittive o impeditive negli stessi contenute.

Invero, nell’ambito del quadro normativo delineato dalla riforma, la facoltà di imporre o meno specifiche condizioni costituisce un meccanismo di flessibilità che consente all’ente locale di tenere conto delle esigenze concrete di ordinato assetto del territorio. Invero, il legislatore statale esprime un chiaro favor per la semplificazione e l’agevolazione del mutamento di destinazione d’uso, nella consapevolezza, però, dell’esigenza di consentire i necessari adattamenti al modello regolatorio delineato dalla riforma al fine di poter considerare le specificità del contesto urbano di riferimento. Ne deriva che le condizioni fissate dovranno essere sorrette da adeguata motivazione, in punto, per esempio, della necessità, valutata in concreto dall’amministrazione, di salvaguardare il decoro urbano o la salute e la sicurezza pubblica.

Pertanto, le “specifiche condizioni” potranno essere definite nelle forme ritenute idonee dal comune, nel rispetto del Testo unico degli enti locali, anche traendo dagli strumenti urbanistici vigenti le previsioni che si intendono far valere quali condizioni ai fini dell’attuazione delle novelle in esame.

Alla luce di quanto precede, le condizioni possono rivestire una triplice finalità e, segnatamente:

a) possono limitare, in relazione a specifiche e motivate esigenze, l’operatività della legge statale, la quale, in loro assenza, consente senz’altro il mutamento di destinazione d’uso orizzontale (comma 1-bis) e il mutamento verticale (comma 1-ter) di una singola unità immobiliare, nel rispetto delle normative di settore;

b) possono consentire la piena operatività della legge statale, qualora gli strumenti urbanistici comunali siano abilitati a individuare specifiche zone ove applicare la disciplina in commento anche alle unità immobiliari poste al primo piano fuori terra o seminterrate (comma 1-quater);

c) possono modulare l’operatività della legge statale, nell’ipotesi di apposizione della speciale condizione volta a consentire il mutamento di destinazione d’uso verticale di una singola unità immobiliare soltanto in conformità alla forma di utilizzo prevalente nell’immobile.

Processo di cambio di destinazione d’uso – Salva Casa

Cosa si intende per prevalenza funzionale in relazione al cambio di destinazione d’uso?

Il requisito della prevalenza funzionale può essere letto alla luce del parametro costituito dal numero assoluto delle unità immobiliari destinate ad un determinato uso all’interno dell’immobile.

Si ritiene, infatti, che la prevalenza non debba necessariamente essere accertata sulla base della superficie complessiva occupata dalle singole unità immobiliari destinate ad un determinato uso all’interno dell’immobile. Ciò in quanto rilevare, per ogni unità immobiliare, la superficie esatta, imporrebbe oneri informativi eccessivamente gravosi, soprattutto laddove si trattasse di edificio condominiale.

Resta ferma in ogni caso la possibilità per gli enti territoriali di declinare tale requisito secondo gli specifici criteri definiti nella legislazione regionale di settore.

Come è regolato il mutamento per unità immobiliari poste al primo piano fuori terra o seminterrate?

Il cambio di destinazione d’uso delle unità immobiliari poste al primo piano fuori terra o seminterrate è disciplinato dalla legislazione regionale.

La legislazione regionale dovrà prevedere i casi in cui gli strumenti urbanistici comunali possono individuare specifiche zone nelle quali le disposizioni di semplificazione concernenti il mutamento di destinazione d’uso verticale introdotte dal D.L. Salva Casa si applicano anche a tali unità immobiliari poste al primo piano fuori terra o seminterrate.

Nell’ambito della pianificazione locale, la possibilità di disciplinare, mediante l’apposizione di specifiche condizioni, il mutamento di destinazione d’uso verticale delle unità immobiliari poste al primo piano fuori terra o seminterrate, dovrà tenere conto della tipologia di zona territoriale omogenea, in quanto limitazioni o restrizioni al mutamento si giustificano tendenzialmente all’interno delle zone A), ove più spesso possono manifestarsi esigenze legate alla necessità di preservare il decoro urbano, mentre dovrebbero affievolirsi nelle altre zone, ove generalmente non si registrano esigenze di salvaguardia di pari intensità.

Quanto alla nozione di primo piano fuori terra, dovrà farsi riferimento alla voce n. 20 dell’Allegato A del Regolamento Edilizio Tipo che definisce “piano fuori terra” quale piano dell’edificio il cui livello di calpestio sia collocato in ogni sua parte ad una quota pari o superiore a quella del terreno posto in aderenza all’edificio. A titolo esemplificativo, in presenza di una unità seminterrata, il primo piano fuori terra coinciderà con il cd. piano rialzato.

Come deve essere intesa la deroga dall’assolvimento degli oneri urbanistici per il mutamento di destinazione d’uso?

Il mutamento di destinazione d’uso cd. verticale relativo ad una singola unità immobiliare di cui al comma 1-ter non è assoggettato all’obbligo di reperimento di ulteriori aree per servizi di interesse generale né al vincolo della dotazione minima obbligatoria di parcheggi, né al pagamento degli oneri di urbanizzazione primaria, fermo restando il pagamento di quelli di urbanizzazione secondaria.

La disposizione del comma 1-quater, secondo periodo, va intesa come norma di principio contenente un esonero dal reperimento delle aree, per cui la non assoggettabilità all’obbligo di reperimento di ulteriori aree per servizi di interesse generale opera non solo in carenza, ma anche in presenza di specifiche disposizioni della pianificazione urbanistica dettate, per esempio, nell’ambito delle Norme tecniche di attuazione (N.T.A.) dei P.R.G. vigenti, rispetto alle quali la disposizione di livello statale in commento si impone.

La ratio della disposizione è quella di introdurre una semplificazione per agevolare i cambi d’uso rilevanti per singole unità immobiliari, ad esclusione di quelle rurali, giustificata dalla circostanza che nelle zone A), B) e C) di cui all’articolo 2 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444), il mutamento avviene tendenzialmente in un contesto già urbanizzato, ove l’incremento del carico urbanistico si presume compensato o ridimensionato.

Le considerazioni appena svolte giustificano la mancata previsione circa la debenza degli oneri di urbanizzazione primaria, che sono correlati alle opere di urbanizzazione necessarie all’utilizzo degli edifici. Invero, si è ritenuto che imporre la corresponsione degli oneri di urbanizzazione primaria si risolverebbe in una sostanziale duplicazione di costi a fronte dell’unicità dei servizi già predisposti nella zona interessata (e.g. strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, pubblica illuminazione). Tali oneri, pertanto, nei casi di mutamento regolati dal comma 1-ter, non sono dovuti, neppure in presenza di diverse previsioni poste dalla normativa regolamentare comunale. Al riguardo, si rammenta, infatti, che, ai sensi del primo periodo del comma 3 dell’articolo 23-ter in commento, i principi dallo stesso discendenti trovano applicazione diretta e, pertanto, impongono la disapplicazione della fonte regolamentare contraria.

Diversamente, ai sensi del terzo periodo del comma 1-quater, continua ad essere dovuto, ove previsto e nei limiti di quanto stabilito dalla legislazione regionale, il pagamento del contributo richiesto per gli oneri di urbanizzazione secondaria. Invero, si è ritenuto che le spese relative alle opere di urbanizzazione secondaria (e.g. asili nido e scuole materne, mercati di quartiere, impianti sportivi di quartiere, aree verdi di quartiere, attrezzature culturali e sanitarie) non possano automaticamente risolversi in una duplicazione di costi, in quanto funzionali alla vita di relazione degli abitanti della zona interessata. La disposizione discende dalla constatazione per la quale il mutamento d’uso, nei casi di cui al comma 1-ter, avviene, come accennato, solo tendenzialmente ad invarianza urbanistica.

Sul tema, occorre ulteriormente chiarire il regime cui sono soggetti i mutamenti di destinazione d’uso orizzontali di cui al comma 1-bis in punto di debenza degli oneri di urbanizzazione. Muovendo da un’interpretazione sistematica del complesso dell’articolo 23-ter, si ricava che nelle ipotesi di cui al comma 1-bis non è dovuto il pagamento né degli oneri di urbanizzazione primaria né di quelli di urbanizzazione secondaria. In tali ipotesi, l’equivalenza del carico urbanistico viene valutata a priori dalla legislazione statale e, pertanto, il mutamento di destinazione d’uso non comporta la necessità di adeguare la dotazione esistente di aree per servizi pubblici o di uso pubblico o l’esecuzione di opere di urbanizzazione.

Cambio destinazione d’uso ed oneri urbanistici

Quale titolo è necessario per il mutamento di destinazione d’uso in base agli interventi che si intendono realizzare?

Quale intervento sto realizzando?
Quale titolo è necessario per il mutamento della
destinazione d’uso?

Assenza di interventi
SCIA

Edilizia libera (ex articolo 6)
SCIA

Interventi soggetti a CILA (ex articolo 6-bis)
SCIA

SCIA Interventi soggetti a SCIA (ex articolo 22)
SCIA

Interventi soggetti a SCIA alternativa a permesso SCIA alternativa a permesso di costruire di
costruire (ex articolo 23)
SCIA alternativa a permesso di costruire

Interventi soggetti a permesso di costruire (ex Permesso di costruire articolo 10)
Permesso di costruire

Come si procede nei casi di mutamento di destinazione d’uso che non rientrano nelle semplificazioni del D.L. Salva Casa?

La disciplina relativa al mutamento dovrà rinvenirsi nella fonte di livello regionale o locale.

Per i casi non rientranti nelle semplificazioni introdotte con il D.L. Salva Casa, resta fermo quanto previsto in generale dall’articolo 10, comma 2, del Testo unico che demanda alla legge regionale l’individuazione del titolo necessario. In particolare, in caso di mutamento di destinazione d’uso verticale di un intero immobile si evidenzia che l’intera disciplina relativa al mutamento dovrà rinvenirsi nella fonte di livello regionale o locale, senza che, in tal caso, siano previste eccezioni quanto alla disciplina dei titoli richiesti per il mutamento.

Qual è il rapporto intercorrente tra legislazione statale e regionale in materia di mutamento di destinazione d’uso?

È fatta salva la possibilità per le regioni di prevedere livelli ulteriori di semplificazione, anche in relazione ai titoli richiesti per il mutamento di destinazione d’uso.

Cosa si intende per “intero immobile” riferito al mutamento di destinazione d’uso orizzontale?

Per immobile deve intendersi “l’elemento minimo inventariabile che ha autonomia reddituale e funzionale, esistente su una particella nell’ambito del Catasto dei Fabbricati, ferma restando l’ipotesi di fabbricati costituiti da un’unica unità immobiliare”.

Conseguentemente, ne discende che, per il caso di immobile costituito da un’unica unità immobiliare, non possono ritenersi applicabili le disposizioni di cui all’articolo 23-ter, comma 1-bis.

In relazione al mutamento di destinazione d’uso orizzontale di un intero immobile cosa cambia rispetto al passato?

Nulla cambia se non la disciplina dei titoli richiesti per il mutamento, che dovrà essere quella di cui al comma 1-quinquies.

Si evidenzia come, in linea con l’originaria formulazione dell’articolo 23-ter, il mutamento di destinazione d’uso orizzontale di un intero immobile sia sempre possibile, salva diversa previsione della legge regionale o dagli strumenti urbanistici comunali. In tale ipotesi, l’intera disciplina relativa al mutamento dovrà rinvenirsi nella fonte di livello regionale o locale, di talché, ad esempio, potrà essere possibile, per gli strumenti urbanistici comunali, fissare, oltre che condizioni, anche limitazioni o divieti.

Cosa accade nel caso di plurime difformità di cui solo alcune rientrino nelle soglie di tolleranza?

Ove la difformità riguardi due distinti parametri (ad esempio, superficie coperta e altezza) e soltanto uno dei due superi la percentuale massima di scostamento indicata al comma 1-bis o al comma 1, potrà procedersi a dichiarare la tolleranza con riferimento alla difformità rientrante nella predetta percentuale, mentre occorrerà un procedimento edilizio in sanatoria per quella che superi tale soglia.

Rispetto al richiamo – tanto al comma 1-bis come al comma 1 – ad una pluralità di parametri, occorre preliminarmente evidenziare come le tipologie di difformità indicate dal legislatore non siano cumulative, ma alternative. La disposizione di cui al comma 1-bis – al pari di quella contenuta all’interno del comma 1- trova applicazione, pertanto, anche laddove ricorra anche una sola delle difformità indicate, nei limiti della soglia percentuale prevista dal legislatore.

Cosa si intende per “superficie utile” di una unità immobiliare?

La superficie di pavimento degli spazi di una unità immobiliare, misurata al netto di murature, pilastri, tramezzi, sguinci, vani di porte e finestre, così come definita dal regolamento edilizio tipo (RET) sancito con intesa del 20 ottobre 2016, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e i Comuni (di seguito, il “Regolamento Edilizio Tipo”).

Nel computo della superficie utile occorrerà, in ogni caso, tener conto di quanto previsto dal titolo originario che ha abilitato la realizzazione dell’intervento, senza, quindi, considerare eventuali frazionamenti dell’immobile o dell’unità immobiliare eseguiti nel corso del tempo (comma 1-ter, primo periodo). Tale regola costituisce, in sostanza, una clausola di salvaguardia, volta ad evitare che, in forza dei frazionamenti, si possa determinare l’applicazione di percentuali più elevate di tolleranza, rendendo, quindi, irrilevanti situazioni che, complessivamente considerate, potrebbero, di converso, integrare nette divergenze rispetto al progetto di impianto originario. La regola vale solo per il computo della superficie utile ai sensi del comma 1-bis, e, quindi, per gli interventi sottoposti al regime “speciale” valevole per le difformità realizzate fino alla data del 24 maggio 2024: infatti, la disposizione di cui al comma 1-ter non ha richiamato il comma 1, circoscrivendo il proprio campo applicativo ai soli interventi di cui al comma 1-bis.

Quali sono le soglie di scostamento per gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024 in merito alle tolleranze?

Si riportano di seguito, a fini di maggior chiarezza, le soglie percentuali massime di scostamento rispetto alle misure indicate nel titolo abilitativo previste dal nuovo comma 1-bis per le ipotesi di interventi realizzati entro il 24 maggio 2024:
a) 2%, per le unità immobiliari > 500 mq di superficie utile;
b) 3%, per le unità immobiliari da ≤ 500 mq a ≥ 300 mq di superficie utile;
c) 4%, per le unità immobiliari da < 300 mq a ≥ 100 mq di superficie utile;
d) 5%, per le unità immobiliari da < 100 mq a ≥ 60 mq di superficie utile;
e) 6%, per le unità immobiliari < 60 mq di superficie utile.

Come opera il regime delle tolleranze in relazione alle misure minime individuate dalle disposizioni in materia di distanze e di requisiti igienico-sanitari?

La soglia applicabile sarà sempre quella del 2 per cento, sia nel caso in cui l’intervento sia stato realizzato prima del 24 maggio 2024, sia nel caso in cui si stato realizzato successivamente, atteso che la regola non ha rinviato alle tipologie di difformità ma agli scostamenti.

Pertanto, laddove la difformità rispetto al progetto riguardi le misure minime individuate dalle disposizioni in materia di distanze e di requisiti igienico-sanitari, lo scostamento tollerato sarà sempre quello del comma 1 e non quello del comma 1-bis.1

Un ulteriore aspetto riguarda il rapporto tra la disposizione di cui al comma 1-ter, secondo periodo, e le regole racchiuse all’interno dell’articolo 24, commi 5-bis, 5-ter e 5-quater del Testo unico. Infatti, il D.L. Salva Casa, con le modifiche introdotte in sede di conversione, ha rivisto anche le misure minime in materia di requisiti igienico-sanitari, con una regola destinata a valere fino alla definizione dei requisiti igienico-sanitari di carattere prestazionale degli edifici ai sensi dell’articolo 20-bis, comma 1-bis, del Testo unico. Al riguardo, occorre chiarire che la portata meramente ricognitiva della disposizione di cui all’articolo 34-bis, comma 1-ter, secondo periodo, non consente l’applicazione delle nuove regole ai casi di asseverazione relativi ad interventi realizzati prima della data di entrata in vigore del citato articolo 24, commi 5-bis, 5-ter e 5-quater (i.e. 28 luglio 2024).

Deve, quindi, operarsi una distinzione sulla base delle misure minime in materia di distanze e di requisiti igienico-sanitari operanti al momento di redazione del progetto. Con particolare riferimento agli edifici esistenti:

a) ove il progetto venga redatto dopo il 28 luglio 2024, lo stesso potrà tenere conto delle nuove misure minime di cui all’articolo 24, commi 5-bis e ss. Di conseguenza, la soglia del 2 per cento verrà computata sui nuovi parametri;

b) ove, al contrario, il progetto sia stato redatto alla luce dei parametri previgenti al 28 luglio 2024, la difformità di quanto realizzato dovrà essere sempre rapportata alle misure minime vigenti ratione temporis.

1In sostanza, il legislatore si è limitato a esplicitare una regola già insita nel sistema, con la conseguenza che la previsione deve ritenersi in parte qua non innovativa e, quindi, operante anche per queste difformità realizzate prima della sua entrata in vigore. La portata ricognitiva della regola può affermarsi alla luce del principio affermato nella sentenza n. 43 del 2020 della Corte Costituzionale, con cui la Corte si è pronunciata sul ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri avverso l’articolo 13 della l.r. della Sardegna n. 1 del 2019, che aveva ricondotto entro la cornice dettata dalla normativa statale in materia di “cosiddetta tolleranza di cantiere” una norma della Regione Sardegna (articolo 7, comma 1-bis, della legge della Regione autonoma della Sardegna 11 ottobre 1985, n. 23), sulla disciplina delle misure legali minime, individuate dalle disposizioni in materia di distanze e di requisiti igienico-sanitari.

Come si coordina il regime delle tolleranze costruttive con l’autorizzazione paesaggistica?

Gli interventi ricadenti nel regime delle tolleranze di cui al comma 1-bis non necessitano di autorizzazione paesaggistica, ove integrino interventi e opere ricomprese nell’allegato “A” del citato d.P.R. n. 31 del 2017 e nell’articolo 4 del medesimo articolato normativo.

Infatti, la disposizione di cui all’articolo 3, comma 1, del D.L. Salva Casa ha previsto che gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024 di cui all’articolo 34-bis, comma 1-bis, del Testo unico, sono soggetti al regime di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017, n. 31.

Salva Casa – Tolleranze ed immobili

Come si coordina il regime delle tolleranze esecutive in caso di immobile vincolato?

Se l’immobile è sottoposto a tutela ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004 non potrà operare questo specifico regime delle tolleranze, dovendosi provvedere ad eventuali sanatorie mediante gli ordinari strumenti previsti dal Testo unico.

Del resto, conformemente a questa impostazione, la disposizione di cui all’articolo 3, comma 1, del D.L. Salva Casa, ha disposto, come ricordato in precedenza, l’applicazione del regime di cui all’articolo 2, comma 1, del d.P.R. n. 31 del 2017 alle sole tolleranze costruttive di cui al comma 1-bis dell’articolo 34-bis, senza, quindi, richiamare il comma 2-bis del medesimo articolo.

Come si prova l’avvenuta realizzazione dell’intervento ante 24 maggio 2024?

Mediante la comunicazione di fine lavori (che, ovviamente integrerà una chiara evidenza della data di ultimazione dell’opera) ovvero nel caso in cui la dichiarazione di fine lavori non sia stata presentata in considerazione del titolo abilitante o della tipologia di intervento, la prova dell’epoca di realizzazione dell’intervento potrà essere fornita ricorrendo alla documentazione indicata dall’articolo 9-bis, comma 1-bis, del Testo unico.

Si segnala che risulta a carico del privato la prova dell’avvenuta realizzazione dell’intervento entro la data del 24 maggio 2024, trattandosi di un presupposto per accedere ad un regime amministrativo diverso da quello ordinario, e operando, quindi, i tradizionali principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa.2

2Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 marzo 2024, n. 2165.

Come opera il regime delle tolleranze in relazione alle unità immobiliari ubicate nelle zone sismiche in relazione alle tolleranze?

Per le unità immobiliari ubicate nelle zone sismiche che non siano classificate a bassa sismicità il tecnico dovrà attestare che gli interventi rientranti nelle soglie di tolleranza rispettino le prescrizioni delle norme per le costruzioni in zone sismiche poste dal Testo unico. Trattasi di apposito procedimento di verifica che è presupposto per la dichiarazione di cui all’articolo 34-bis, comma 3.

L’attestazione deve essere riferita al rispetto delle norme tecniche per le costruzioni vigenti al momento della realizzazione dell’intervento, fermo restando quanto previsto dall’articolo 36-bis, comma 2, con riferimento ai poteri conformativi attribuiti agli sportelli unici edilizi, che saranno oggetto di specifica trattazione in una sezione successiva di questo documento. Inoltre, l’attestazione deve essere corredata della documentazione tecnica sull’intervento predisposta sulla base del contenuto minimo richiesto dall’articolo 93, comma 3, del Testo unico. L’attestazione – unitamente alla documentazione – va, poi, inviata allo sportello unico per l’acquisizione “postuma” dell’autorizzazione sismica dell’ufficio tecnico regionale, oppure per l’esercizio delle modalità di controllo previste dalle Regioni ai sensi dell’articolo 94-bis, comma 5, del Testo unico per le difformità costituenti interventi di minore rilevanza o privi di rilevanza sismica.

La disposizione è, in sostanza, funzionale a verificare se gli interventi rientranti nell’ambito applicativo delle c.d. tolleranze siano, comunque, in linea con le prescrizioni previste per l’edificazione delle costruzioni in area sismica.

Tale disposizione regolamenta un procedimento autonomo e speciale, differente da quelli previsti nella sezione II del capo IV della parte II del Testo unico. Infatti, la disposizione è relativa ad interventi già realizzati e, come già spiegato, è semplicemente finalizzata ad effettuare le verifiche che assicurino il rispetto delle prescrizioni in materia sismica e, quindi, l’assenza di rischi per la sicurezza e l’incolumità derivanti dalle opere rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 34-bis.

Il rinvio operato dalla disposizione alle previsioni contenute nel capo IV non può, quindi, intendersi come integrale sottoposizione della specifica disciplina dettata dall’articolo 34-bis, comma 3-bis, alle regole contenute nel medesimo capo IV della parte II del Testo unico. Ciò in quanto si è rinviato a specifiche disposizioni contenute in tale capo e per precise finalità funzionali al procedimento di regolarizzazione previsto. In particolare, il legislatore ha rinviato:

a) all’articolo 83, al solo fine di individuare il perimetro applicativo dell’istituto, escludendo, tra l’altro, le zone a bassa sismicità;

b) alle prescrizioni di cui alla sezione I del capo IV, al solo fine di rinviare alle prescrizioni tecniche valevoli nelle zone sismiche, riferite, tra l’altro, alle sole prescrizioni esistenti al momento della realizzazione dell’intervento;

c) all’articolo 93, comma 3, al solo fine di indicare il contenuto della documentazione tecnica da allegare;

d) agli articoli 94 e 94-bis, al solo fine di consentire quelle verifiche sul rispetto delle prescrizioni sismiche da parte degli enti competenti.

La specificità del procedimento e l’assenza di un integrale richiamo alle previsioni racchiuse nel capo IV conduce ad escludere che, in relazione al procedimento di cui all’art. 34-bis, comma 3-bis, possa venire in rilievo una violazione delle prescrizioni del capo IV, che è presupposto per l’applicazione delle regole di cui alla sezione III, tra cui quelle contenute nell’articolo 96. Pertanto, a titolo esemplificativo, deve escludersi che l’applicazione del procedimento di cui all’articolo 34-bis, comma 3-bis, comporti la trasmissione del processo verbale di cui all’articolo 96, comma 2, del Testo unico. In ragione di quanto esposto, deve, altresì, escludersi che il processo verbale di cui all’articolo 96, comma 2, debba essere compilato al fine di segnalare dichiarazioni mendaci dei tecnici che hanno redatto la relazione tecnica a struttura ultimata e/o il collaudo statico. Qualora il tecnico o gli altri soggetti di cui all’articolo 103 del Testo unico individuassero dichiarazioni mendaci, dovranno darne comunicazioni all’autorità giudiziaria non ai sensi e con le forme di cui al citato articolo 96, ma ai sensi delle generali disposizioni previste dall’ordinamento per la repressione dei fatti di reato. Nelle zone a bassa sismicità, l’eventuale certificazione di idoneità statica prevista dalla legislazione regionale sarà invece trasmessa al SUE, che provvederà all’acquisizione della stessa ai fini dell’archiviazione nel fascicolo edilizio.

Qual è l’epoca della realizzazione degli interventi rilevante ai fini della semplificazione ante ’77?

Gli interventi realizzati come varianti che costituiscono parziali difformità devono essere stati eseguiti nell’ambito degli interventi riconducibili ad un titolo rilasciato prima dell’entrata in vigore della legge n. 10 del 1977. Da ciò consegue che gli stessi possono essere stati realizzati anche in data successiva al 30 gennaio 1977, purché entro i limiti di validità temporale del titolo che permettono di caratterizzare gli interventi come variante.

Pertanto, ai fini dell’accertamento dei presupposti per l’applicabilità del regime prefigurato dall’articolo 34-ter, occorrerà indicare l’epoca di realizzazione della variante, al fine di poterla ricondurre alla validità temporale del titolo abilitativo rilasciato ante ’77 cui essa si riferisce.

Regolarizzazione ante ’77 – Salva Casa

Come devono qualificarsi gli interventi ai fini della semplificazione per le varianti ante ’77?

Gli interventi realizzati come varianti, da un lato, devono costituire parziali difformità dal titolo e, dall’altro, non possono qualificarsi quali tolleranze. In relazione a queste ultime, infatti, trova applicazione la disciplina di cui all’articolo 34-bis.

A tal fine, un utile ausilio è certamente offerto dalla giurisprudenza formatasi in ordine alla previsione di cui all’articolo 34 del Testo unico, la quale ha chiarito che la parziale difformità si configura quando l’intervento, sebbene contemplato dal titolo abilitativo, risulti realizzato secondo modalità diverse da quelle previste a livello progettuale, e, quindi, quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera (Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 ottobre 2024, n. 8072). Inoltre, va ricordato che tale valutazione deve essere effettuata sulla base di un esame complessivo e non parcellizzato delle singole difformità, non potendosi dunque ammettere una qualificazione di ognuna di esse come difformità solo parziale dell’immobile assentito rispetto a quello realizzato (Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 ottobre 2020, n. 6432).

Quali sono i titoli che possono essere interessati dalla semplificazione per le varianti ante ’77?

I titoli che possono essere interessati dalla semplificazione sono:

1. licenza edilizia di cui alla legge n. 1150 del1942; nonché

2. ogni altro titolo, autorizzazione, nulla osta comunque denominato rilasciato a fini edilizi anteriormente alla suddetta legge n. 1150 del 1942, come accaduto spesso in base ai Regolamenti edilizi comunali di molte grandi città italiane.

Qual è il rapporto con le altre normative di settore ai fini della regolarizzazione degli interventi realizzati come varianti ante ’77??

La procedura di regolarizzazione di cui ai commi 2 e 3 riguarda esclusivamente gli aspetti edilizi. Nei casi in cui l’intervento sia stato effettuato in area sottoposta ad altri regimi – ad esempio, sismico o paesaggistico – sarà, comunque, necessario coinvolgere le altre Autorità competenti per ottenere le prescritte autorizzazioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati.

Come si prova l’epoca di realizzazione delle varianti?

La prova dell’epoca di realizzazione delle varianti può essere fornita:

in via generale, mediante la documentazione di cui all’articolo 9-bis, comma 1-bis, quarto e quinto periodo, del Testo unico;
• nei casi in cui sia impossibile accertare l’epoca di realizzazione della variante mediante la documentazione sopra indicata, mediante attestazione della data di realizzazione da parte del tecnico incaricato con propria dichiarazione e sotto la propria responsabilità. Il tecnico incaricato potrà limitarsi ad attestare, più in generale, l’epoca di realizzazione della variante, come desumibile da un’interpretazione sistematica che tiene conto del combinato disposto dell’articolo 34-ter, primo periodo (ove si fa riferimento all’ “epoca di realizzazione”) e secondo periodo (ove si fa riferimento alla “data di realizzazione”).

Occorre, altresì, chiarire che, trattandosi di una parziale difformità occorrerà allegare all’istanza il titolo rispetto al quale si è verificata in sede esecutiva una parziale difformità. E ciò al fine di consentite all’Amministrazione di poter operare quella verifica sopra indicata in ordine alla ricorrenza di una difformità parziale e non totale.

In che misura deve essere pagata la sanzione a titolo di oblazione per le varianti ante ’77?

La sanzione è quella prevista dall’articolo 36-bis, comma 5, lettera b), prima parte, e sarà, pertanto, pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile valutato dai competenti uffici dell’Agenzia delle entrate, in una misura, determinata dal responsabile del procedimento, non inferiore a 1.032 euro e non superiore a 10.328 euro.

Il rinvio alla lettera b), prima parte, si desume dalle seguenti circostanze:
– l’individuazione della sanzione di cui al comma 5, lettera b) (anziché di quella di cui alla lettera a) si giustifica alla luce della ratio della disposizione, che risponde ad esigenze di agevolazione e tende a valorizzare, in luogo del titolo cui si correla la variante, il titolo richiesto per la regolarizzazione (SCIA);
– l’individuazione della sanzione esclusivamente a quella di cui alla prima parte si spiega alla luce del fatto che tra i presupposti della regolarizzazione in esame non è richiesta la verifica della conformità dell’intervento alla disciplina edilizia e urbanistica (come meglio illustrato alla sezione D.3.4.1.7).

In relazione alla quantificazione della sanzione da applicare in concreto da parte dei competenti uffici comunali, si rinvia alla sezione D3.5.6.1.

Si ricorda che per gli interventi eseguiti in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica resta ferma la sanzione di cui all’articolo 36-bis, comma 5-bis.

È richiesta la doppia conformità urbanistica e/o edilizia per la sanatoria edilizia delle varianti ante ’77?

Ai fini del perfezionamento della SCIA in sanatoria non è richiesta la sussistenza della doppia conformità, rigida o semplificata, di cui agli articoli 36 e 36-bis del Testo unico.

Il rinvio operato all’articolo 36-bis, commi 4 e 6, è volto esclusivamente a regolare aspetti di natura procedurale e non può, pertanto, estendersi alle disposizioni che regolano la verifica di conformità ivi disciplinata. In particolare, si conferma:
– l’applicazione della procedura relativa agli interventi realizzati in zone vincolate sotto il profilo paesaggistico; e
– l’operatività dell’istituto del silenzio assenso.

Per la regolarizzazione degli interventi ante ’77 è necessario che il titolo sia stato rilasciato in data antecedente all’entrata in vigore della legge 10/77?

No, il titolo può essere stato rilasciato anche in data successiva.

Rispetto all’ipotesi prevista dai precedenti tre commi, in questo caso non è riprodotto il presupposto relativo al rilascio del titolo in data antecedente all’entrata in vigore della legge n. 10 del1977; di conseguenza, questa specifica ipotesi di regolarizzazione opera anche per interventi realizzati durante l’esecuzione dei lavori oggetto di titolo abilitativo rilasciato successivamente all’entrata in vigore della predetta legge n. 10 del 1977, ricorrendo gli altri presupposti stabiliti dalla disposizione.

In che modo può ritenersi accertata la sussistenza di parziali difformità in sede di sopralluogo o ispezione per la regolarizzazione di interventi ante ’77?

È sufficiente che gli accertamenti in sede di sopralluogo o ispezione si siano limitati ad una generica o generale constatazione sulle difformità. 

Sono ricomprese le varie tipologie di sopralluogo o ispezione previste, nel corso del tempo, dall’ordinamento, purché queste siano state dirette ad un accertamento anche di carattere edilizio. Con riferimento alle ipotesi più risalenti, può farsi l’esempio del rilascio del certificato di abitabilità da parte del Sindaco previo sopralluogo dell’ufficiale sanitario o dell’ingegnere delegato, che era diretto a riscontrare la conformità dell’opera, la sussistenza di muri prosciugati e l’assenza di causa di insalubrità (articolo 221 del R.D. n. 1265 del1934). Si tratta di tipologie di accertamenti che sono stati molto frequenti nella prassi, stante la lunga vigenza di tale disposizione, abrogata solo con il D.P.R. n. 425 del 1994, il quale ha introdotto un meccanismo di silenzio assenso che, di converso, esclude la possibilità di applicare la regolarizzazione di cui all’articolo 34-ter, comma 4, in esame, ai certificati di agibilità/abitabilità formatisi con quel meccanismo, difettando in tali casi un accertamento da parte di un tecnico pubblico.

Inoltre, occorre che tali accertamenti abbiano constatato la sussistenza di parziali difformità.

In relazione al contenuto di tale accertamento occorre, poi, considerare come i verbali redatti in passato fossero, molto spesso, privi di una puntuale analisi di conformità edilizia, anche in considerazione delle tecniche utilizzate all’epoca. Alla luce di ciò, ipotizzare l’applicazione della disposizione in esame ai soli casi in cui l’accertamento sia stato effettuato in modo particolarmente rigoroso significherebbe restringerne notevolmente il campo di applicazione, nonché deprivare la ratio della regola, che è volta a valorizzare l’affidamento riposto dal cittadino sulla base del rilascio di un certificato di agibilità/abitabilità redatto all’esito di un sopralluogo appositamente finalizzato anche alle verifiche edilizie e maturato anche in considerazione della mancata adozione di successivi provvedimenti repressivi. Pertanto, si ritiene che anche ove tali accertamenti si siano limitati ad una generica o generale constatazione sulle difformità (effettuata anche mediante la mera apposizione di rilievi rappresentativi delle stesse sul progetto, come spesso riscontrato nella prassi) possa, comunque, trovare applicazione la disposizione in esame.

Inoltre, occorre che il certificato di agibilità o abitabilità – rilasciato all’esito del procedimento sopra indicato – non sia suscettibile di annullamento in autotutela ex art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 (con conseguente necessità di verifica di tutti i presupposti di tale disposizione).

Va ulteriormente chiarito che, ai fini dell’operatività della disposizione, non può ritenersi sufficiente la circostanza che il certificato riporti la sussistenza di difformità edilizie, le quali devono essere, invece, accertate – nei termini sopra indicati – nei verbali di sopralluogo o ispezione. In ogni caso, non si ritiene indispensabile che il certificato richiami il sopralluogo o l’ispezione, nei casi in cui dalla documentazione relativa al procedimento possa, comunque, evincersi che il certificato sia stato redatto tenendo conto dell’esito di tale accertamento. Si pensi ai casi di certificati rilasciati ai sensi dell’articolo 221 del R.D. n. 1265 del 1934, che necessariamente presuppongono l’avvenuta ispezione, con la conseguenza che l’eventuale verbale antecedente a tale certificato sarà di per sé prova del preventivo accertamento.

Qual è il rapporto con il regime delle tolleranze?

La parziale difformità in esame non dovrà essere oggetto di un procedimento amministrativo di sanatoria, applicandosi il regime delle tolleranze di cui all’articolo 34-bis.

Di conseguenza troveranno applicazione in questo caso le regole in precedenza illustrate, ivi incluse quelle in materia di unità immobiliari ricomprese in zona sismica.

Di converso, il regime paesaggistico dell’intervento sarà regolato dalle disposizioni ordinarie, non trovando applicazione la deroga di cui all’articolo 3, comma 1, del D.L. Salva Casa, esclusivamente riferibile alle tolleranze costruttive ante 24 maggio 2024.

Quando è attivato il procedimento di sanatoria nel caso di variazioni essenziali?

Alla luce di quanto disposto dall’articolo 31, comma 2 del Testo unico, la richiesta di sanatoria potrà essere presentata entro il termine previsto dall’articolo 31, comma 3, comprese le eventuali proroghe, previste dall’ultimo periodo del medesimo comma.

È possibile presentare, unitamente all’istanza di sanatoria, ulteriori istanze ad essa connesse?

Si. Si consideri, ad esempio, il caso di sanatoria di un intervento a cui sia connessa un’istanza di mutamento di destinazione d’uso ex articolo 23-ter, condizionata alla sanatoria. Anche in questo caso l’istanza potrà essere unitaria e presentata allo Sportello unico per le (pur diverse) valutazioni che occorrono per ritenere l’intervento suscettibile di sanatoria e per assentire, altresì, il cambio di destinazione d’uso. In sostanza, in un caso come quello in esame potrà presentarsi un’unica istanza e l’Amministrazione verificherà nel medesimo procedimento i presupposti per la sanatoria delle opere e il cambio di destinazione d’uso condizionato al previo ottenimento dei titoli in sanatoria.

Salva casa sanatoria con finalità multiple

Come si procede nel caso in cui siano richiesti autorizzazioni o atti di assenso da parte di altre amministrazioni per gli interventi edilizi prescritti?

Trattandosi di interventi condizionanti il rilascio del titolo o la formazione dello stesso, gli stessi dovranno essere acquisiti dallo Sportello unico edilizia prima del formale rilascio del permesso di costruire in sanatoria; in caso di SCIA in sanatoria la realizzazione è presupposto per la formazione del titolo.

In ogni caso, l’istanza relativo al titolo in sanatoria – anche per la parte che presuppone il rilascio di autorizzazioni o atti di assenso di altre amministrazioni – potrà essere presentata direttamente allo Sportello unico edilizia, che ai sensi dell’articolo 36-bis procederà poi a trasmettere la documentazione alle competenti amministrazioni.

Si pensi al caso dell’autorizzazione sismica o dell’autorizzazione paesaggistica. Nel primo caso, il Comune dovrà inviare la documentazione all’ufficio regionale competente per la verifica sismica; nel secondo alla Soprintendenza territorialmente competente. In entrambi i casi sono possibili, in ogni caso, richieste di integrazioni documentali, ove necessarie. Si ribadisce sul tema che anche per la parte relativa all’acquisizione dell’accertamento della compatibilità paesaggistica in sanatoria la disciplina applicabile è quella dell’articolo 36-bis, comma 4 ( e non quella dell’articolo 146, comma 4 o 167, commi 4 e 5, del Codice dei beni culturali di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42), la quale specifica che spetta al Comune acquisire il parere vincolante all’autorità preposta alla gestione del vincolo anche in caso di lavori che abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero l’aumento di quelli legittimamente realizzati. Il medesimo articolo 36-bis, comma 4 individua i tempi per l’espressione del parere della soprintendenza e per la determinazione dell’autorità competente, specificando che sono soggetti a silenzio-assenso.

Come si prova l’epoca di realizzazione degli interventi ai fini dell’accertamento di conformità?

La prova dell’epoca di realizzazione delle varianti può essere fornita:
in via generale, mediante la documentazione di cui all’articolo 9-bis, comma 1-bis, quarto e quinto periodo, del Testo unico;
nei casi in cui sia impossibile accertare l’epoca di realizzazione della variante mediante la documentazione sopra indicata, mediante attestazione della data di realizzazione da parte del tecnico incaricato con propria dichiarazione e sotto la propria responsabilità. Il tecnico incaricato potrà limitarsi ad attestare, più in generale, l’epoca di realizzazione della variante, come desumibile da un’interpretazione sistematica che tiene conto del combinato disposto dell’articolo 36-bis, comma 3, secondo periodo (ove si fa riferimento all’ “epoca di realizzazione”) e terzo periodo (ove si fa riferimento alla “data di realizzazione”).

Quali sono le differenze tra il regime di cui all’articolo 36-bis, comma 4 e l’articolo 167 del codice dei beni culturali e del paesaggio?

Quella prevista dall’articolo 36-bis, comma 4, e quella prevista dall’articolo 167 del codice dei beni culturali e del paesaggio sono procedure distinte.

La nuova disciplina del silenzio-assenso consente di evidenziare le differenze tra la regola di cui all’articolo 36-bis del testo unico e la previsione di cui all’articolo 167, comma 5, del decreto legislativo n. 42 del 2004, secondo cui “il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni”.

La disciplina, sopra richiamata, dell’art. 167 è connotata da elementi procedurali del tutto diversi da quelli posti alla base della disciplina del silenzio assenso ex art. 17 bis della legge n. 241 del 90. Nelle ipotesi dell’articolo 167, infatti, non occorre un accordo tra plurime amministrazioni co-decidenti – di regola, preposte alla cura di interessi pubblici differenziati – in ordine ad uno schema di provvedimento predisposto dall’Amministrazione procedente. Piuttosto, è l’Amministrazione interpellata (Soprintendenza) a dovere assumere la decisione sostanziale sul contenuto del provvedimento finale da adottare (senza essere vincolata da un previo schema di provvedimento), mentre il ruolo dell’Amministrazione procedente, preposta alla gestione del vincolo, è quello di statuire in conformità.

Rispetto alle conseguenze discendenti dalla condotta inerte della soprintendenza, inoltre, l’articolo 167, comma 5 del D. Lgs. N. 42704 ha qualificato come “perentorio” il termine entro cui la Soprintendenza deve esprimere il parere di competenza, in tale maniera regolando (implicitamente) gli effetti dell’inerzia. Come precisato dal Consiglio di Stato Sez. V, 17 marzo 2015, n. 1374, la natura perentoria di un termine, esplicitata dal legislatore o desumibile dalla normativa di riferimento, implica la produzione di un effetto decadenziale per il caso di sua inosservanza, non potendosi ritenere persistente il potere non tempestivamente esercitato.

Di conseguenza, come pure precisato dal Consiglio di Stato (Sezione VI, 19 novembre 2020, n. 7193), l’inutile decorrenza del termine perentorio di novanta giorni ex art. 167, comma 5, del decreto legislativo n. 42 del 2004 determina – anziché la formazione di un atto di assenso tacito – la decadenza dall’esercizio dello specifico potere assegnato dal legislatore e, dunque, dalla possibilità di vincolare l’amministrazione procedente nella decisione finale. Secondo la giurisprudenza si è, dunque, in presenza di una disciplina che, pure non equiparando l’inerzia all’atto di assenso, assicura le esigenze di tempestività dell’azione amministrativa, nel rispetto della rilevanza costituzionale dell’interesse (paesaggistico ex art. 9 Cost.) tutelato.

L’articolo 36-bis del testo unico edilizia ha inteso discostarsi dalla ricostruzione degli effetti del comportamento inerte della Soprintendenza, come desumibile dalla giurisprudenza sopra richiamata relativa all’articolo 167, comma 5, del decreto legislativo n. 42 del 2004. Nelle ipotesi soggette al nuovo accertamento di conformità di cui all’articolo 36-bis, infatti, l’inerzia della Soprintendenza equivale ad assenso, senza possibilità di intervenire dopo il decorso del termine nel procedimento, fintantoché il provvedimento finale non sia assunto, al fine di rappresentare il proprio punto di vista sul tema in decisione.

Procedura di sanatoria per piccole deviazioni per immobili in aree vincolate

In caso di piccole difformità per verificare la compatibilità paesaggistica cosa succede nel caso di vincolo sopravvenuto?

Le disposizioni si applicano anche per interventi che risultino incompatibili con il vincolo paesaggistico apposto in data successiva alla loro realizzazione.

Come deve essere calcolata in concreto la sanzione per la SCIA in sanatoria di cui al comma 5, lettera b)?

Sulla base delle valutazioni relative all’incremento del valore venale del bene dell’Agenzia delle entrate, anche tenendo in considerazione le prassi applicative già utilizzate nella vigenza dell’articolo 37, comma 4, del Testo Unico.

Le modalità di quantificazione della sanzione mutuano quelle già previste dal previgente articolo 37, comma 4, per il quale prevedeva che: “il responsabile dell’abuso o il proprietario dell’immobile possono ottenere la sanatoria dell’intervento versando la somma, non superiore a 5164 euro e non inferiore a 516 euro, stabilita dal responsabile del procedimento in relazione all’aumento di valore dell’immobile valutato dall’agenzia del territorio”. Pertanto, le amministrazioni competenti potranno fare riferimento alle prassi applicative già in uso.

In particolare, si ricorda che già prima dell’entrata in vigore del D.L. Salva Casa, proprio in virtù dell’articolo 37, comma 4, l’amministrazione competente richiedeva all’Agenzia delle entrate la quantificazione dell’incremento del valore venale del bene in conseguenza dell’intervento realizzato, ai fini della determinazione della misura della sanzione tra il minimo ed il massimo edittale.

Ai fini della liquidazione delle somme da corrispondere a titolo di oblazione i competenti uffici comunali potranno pertanto far riferimento alle prassi in essere, che in particolare prevedono:

a) la richiesta di quantificazione dell’incremento del valore venale da parte del Comune all’Agenzia delle entrate;

b) all’esito della quantificazione di tale incremento, il Comune potrà determinare la sanzione applicabile secondo criteri di proporzionalità rispetto alla variazione percentuale del valore venale dell’immobile valutato dall’Agenzia delle entrate. A titolo esemplificativo, in caso di incrementi del valore venale dell’immobile pari al 20%, il Comune potrà applicare un incremento del 20% del minimo edittale. Resta ferma in ogni caso la facoltà del Comune di orientare l’attività dei competenti uffici rispetto alla determinazione delle sanzioni, parametrando le sanzioni in base ai predetti parametri sull’incremento del valore venale, nonché in base ad ulteriori criteri discrezionalmente individuati dal Comune, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalità.

Per i casi di interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla SCIA ai sensi dell’articolo 37, si precisa che, qualora il Comune ritenga che tale intervento non abbia aumentato il valore venale dell’immobile si applicherà l’oblazione nelle soglie minime edittali di cui all’articolo 36-bis, comma 5, lettera b) (i.e. euro 1.032 e 516), senza la necessità di coinvolgere i competenti uffici dell’Agenzia delle entrate.

Sanzioni per SCIA in sanatoria – Salva Casa

In quale fasi del procedimento si pagano le oblazioni per i permessi in sanatoria?

 Il pagamento delle sanzioni si articola di regola in due fasi:

1) il pagamento del contributo dovuto, a titolo di anticipazione dell’oblazione, ai fini della presentazione della richiesta di rilascio di titoli in sanatoria (si rinvia, sul punto, all’apposita modulistica in fase di definizione). A seconda della modulistica di riferimento, tale contributo può essere individuato nel minimo edittale ovvero in un valore autonomamente stabilito dal richiedente (va infatti evidenziato che ai sensi dell’articolo 36-bis, comma 5 il pagamento delle oblazioni è presupposto per l’efficacia del titolo);

2) il pagamento del conguaglio risultante dalla differenza del valore dell’oblazione, determinato dall’amministrazione competente, e il valore del contributo già versato.

Come si correlano il meccanismo del silenzio assenso e il pagamento dell’oblazione per la sanatoria?

Intervenuto il silenzio assenso il titolo è valido ma, in assenza del pagamento integrale della sanzione a titolo di oblazione, non è idoneo a produrre i suoi effetti. Ad esempio, il titolo non potrà essere utilizzato per dimostrare lo stato legittimo in occasione di una successiva pratica edilizia ovvero in occasione di trasferimento della proprietà dell’immobile.

Ne consegue che il privato otterrà, con il decorso dei termini e in presenza degli altri presupposti previsti, un titolo certamente valido che, tuttavia, diverrà efficace con l’integrale adempimento dell’obbligazione pecuniaria connessa.

In quali regioni opera la semplificazione in materia di sottotetti introdotta dal D.L. Salva Casa?

Solo nelle regioni che sono intervenute con proprie disposizioni a regolare gli interventi di recupero dei sottotetti.

Quindi il recupero dei sottotetti è consentito qualora esista una norma regionale che definisca le condizioni che consentano tale recupero (e.g. in tema di definizione di sottotetto, condizioni per la realizzazione degli interventi, disciplina del rapporto aeroilluminante). La disciplina semplificatrice introdotta, pertanto, non deve essere intesa come una liberalizzazione ma piuttosto, nei limiti e secondo le procedure previste dalle esistenti leggi regionali, come un quadro regolatorio minimo di condizioni necessarie per considerare ammissibili gli interventi di recupero dei sottotetti, quando questi non consentono il rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, derogabile in presenza di leggi regionali più favorevoli.

Numerose Regioni si sono dotate di disposizioni sul recupero a scopo abitativo dei sottotetti. Solo in relazione a queste ultime, pertanto, troveranno applicazione le disposizioni di semplificazione minima di cui al D.L. Salva Casa. In merito all’applicabilità della disposizione in esame, a nulla rileva la data di emanazione della disposizione regionale (antecedente o successiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. Salva Casa). Ciò che il legislatore statale richiede e’ l’esistenza di una disciplina legislativa regionale che disciplini le modalità di recupero dei sottotetti, individuando le relative procedure e i criteri. Eventuali parziali dichiarazioni di incostituzionalità della legislazione regionale sul recupero dei sottotetti da parte della Corte costituzionale non possono indurre automaticamente a ritenere insoddisfatto il rinvio legislativo alla disciplina regionale di settore, nella misura in cui la disciplina regionale di risulta sia comunque idonea a individuare i presupposti essenziali per il recupero dei sottotetti.

Di converso, per quelle Regioni che non si sono dotate di tale disciplina, la norma in esame è volta a stimolare l’adozione di una normativa in materia di recupero di sottotetti, ciò sempre nell’ottica di incentivare l’ampliamento dell’offerta abitativa.

Salva Casa e recupero sottotetti – Deroga distanza tra edifici e dai confini

Cosa si intende per logge e porticati?

Quelli definiti alle voci n. 37 e 39 dell’Allegato A del Regolamento Edilizio Tipo. In particolare:

• con il termine loggia (o loggiato) si intende “l’elemento edilizio praticabile coperto, non aggettante, aperto su almeno un fronte, munito di ringhiera o parapetto, direttamente accessibile da uno o più vani interni”.
• con il termine porticato (o portico) si intende “l’elemento edilizio coperto al piano terreno degli edifici, intervallato da colonne o pilastri aperto su uno o più lati verso i fronti esterni dell’edificio”.

Come è regolato il regime transitorio di deroga di alcuni dei requisiti minimi igienico-sanitari in considerazione della prossima adozione del decreto di cui all’articolo 20?

La disciplina transitoria rimarrà in vigore sino all’adozione del decreto del Ministro della salute previsto dall’articolo 20, comma 1-bis, del Testo Unico. Sino all’adozione del suddetto decreto, rimangono fermi gli effetti delle segnalazioni certificate di inizio attività presentate, ai fini dell’agibilità, dalla data di entrata in vigore dei commi 5-bis, 5-ter e 5-quater dell’articolo 24 del Testo unico (i.e. 28 luglio 2024) e perfezionatesi per decorso dei termini del procedimento.

Si evidenzia che il decreto di cui all’articolo 20, comma 1-bis, del Testo unico, il quale risulta all’attualità in via di definizione presso gli uffici ministeriali competenti, recherà disposizioni in continuità con quanto previsto dal regime transitorio, le cui innovazioni, quindi, verranno ad essere stabilizzate.

Il testo integrale è qui disponibile in PDF.

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